L’attuale momento storico che stiamo vivendo con i governi in forte difficoltà, gli affari che stentano a decollare, la finanza altalenante e in preda ad isterie collettive, i rapporti interpersonali spesso banali e superficiali, ci fa toccare con mano l’evidente mancanza del valore “fiducia”.
Credo di poter dire con tranquillità che, siamo una società alla ricerca della fiducia, soprattutto le nuove generazioni (hard generation e Net generation) che non solo la inseguono, ma ne hanno proprio un forte bisogno e……, come tutte le cose, meno la trovi e più diventa preziosa.
Un’organizzazione in cui le persone si guadagnano la fiducia reciproca, e che lavora per espanderla nelle maglie organizzative, così da renderla concretamente tangibile e visibile a tutti , è una struttura capace di assicurarsi anche la fiducia del pubblico, sviluppando un grande vantaggio competitivo.
Strutturarsi dando spazio a questo valore, significa avere dei collaboratori capaci di ispirare la fedeltà del consumatore, e conquistare nuovi mercati, offrendo prodotti e servizi più innovativi.
Quello che molti non comprendono è che, si può promuovere la cultura della fiducia coinvolgendo tutti coloro che appartengono alla società, producendo, a costo praticamente zero, opportunità di crescita, di profitto, di produttività e di soddisfazione sul lavoro.
Di contro, orientare la propria struttura aziendale solo su modelli di efficacia ed efficienza, di leadership generica, “spremendo” le persone e orientandole solo verso i risultati, e non sulla relazione, esalta costantemente la cultura della paura, delle risposte reattive, orientate ad affrontare gli ostacoli immediati e influenzate da un atteggiamento mentale “noi contro loro”, con tutte le implicazioni negative in termini finanziari, personali e produttivi.
A tutti sarà capitato, almeno una volta, di far parte di un gruppo di lavoro, dove dopo una riunione si è usciti stanchi, tesi e annoiati, in alcuni casi anche arrabbiati, con la netta sensazione di aver perso tempo senza concludere nulla, nonostante ci fossero i giusti presupposti.
Il problema è che, la capacità di gestire o di partecipare al lavoro di gruppo viene data troppo spesso per scontata, quando invece va appresa e interiorizzata, oltre che pianificata con accuratezza. Infatti, non basta riunire persone con mansioni diverse, è necessario che ogni membro del gruppo riesca ad armonizzare le proprie esigenze con quelle degli altri, superando le reciproche differenze, offrendo una cooperazione massima, che richiede quindi, oltre alle competenze riferite al compito, anche quelle di tipo relazionale.
Se il gruppo si concentra sull’esecuzione del compito, trascurando gli aspetti di gestione della relazione, ognuno finisce per affrontare il problema che incontra, esclusivamente con il suo punto di vista, con la propria mappa mentale e con i suoi soli strumenti, ma così è impossibile che il risultato sia qualitativamente migliore di quello che si avrebbe con un lavoro di gruppo.
Per realizzare un vero lavoro di squadra è necessario che, ogni membro del gruppo comprenda di essere indispensabile al perseguimento dello scopo comune, e che tutti coordinino la loro azione sulla base di tale consapevolezza.
In questo modo si possono creare relazioni basate sulla fiducia: nel gruppo di lavoro, infatti, non sono in conflitto le idee, e tantomeno gli individui, mentre competono tra loro diverse ipotesi relative ad uno stesso obiettivo.
I mercati liberi richiedono che si mantenga non solo un buon margine operativo e un prezzo di mercato competitivo, ma anche che le persone della propria struttura siano protagoniste del successo dell’azienda. Le teorie gestionali non sempre hanno portato risultati, in moltissimi casi hanno bloccato la crescita, per effetto di tagli poco opportuni in punti strategici dell’azienda.
Per quasi un secolo ci siamo preoccupati dell’ organizzazione intesa, come se fosse una macchina da guerra, parlando di sistemi, di gerarchie, di strutture, di processi, di interfacce e di cicli, di pianificazione, di strategia, di problem solving, di time management, di leadership, di delega, insomma una macchina per migliorare la competitività, ma i modelli utilizzati sono stati capaci soltanto di creare un certo vantaggio momentaneo. Inoltre, queste metodologie non essendo taylor made, possono essere facilmente copiate e, quindi, non offrono un valido vantaggio competitivo nel tempo.
Per non parlare poi del linguaggio utilizzato, con frasi del tipo “ci diamo dentro, partiamo in quarta, passiamo sugli altri, ripartiamo da capo, facciamoli stramazzare a terra, ecc.”
Tutto ciò rispecchia un atteggiamento mentale rivolto principalmente alle apparenze, una trappola illusoria che spinge a perseguire un programma du jour cercando di spremere ancora un po’ di sangue da qualcosa che assomiglia sempre di più ad una rapa.
Cambiare realmente, significa dare più spazio a se stessi, significa (parole queste che faranno tremare i manager più pragmatici e logici) ricercare il vantaggio competitivo nel regno dello spirito umano, specifico territorio dove possiamo incontrare il valore fiducia.
Fiducia che deriva dal latino fìdere, aver fede, credere in una persona, in un’organizzazione, in un’idea, in qualcosa su cui possiamo fare sicuro affidamento.
La ricerca di un vantaggio competitivo legato al valore fiducia, si sta spostando dall’esterno (sistemi organizzativi, metodiche di lavoro) all’interno, sviluppando la relazione, la condivisione e la crescita personale.
Questo paradigma apre un nuovo concetto: il valore delle aziende non è solo quello del Capitale sociale versato, del fatturato raggiunto e del margine operativo ottenuto, ma soprattutto, è del Capitale Umano, che diventa l’equivalente emotivo e psicologico del capitale finanziario.
Il Capitale Umano può prendere la forma della fiducia, della conoscenza, del riconoscimento, oppure della consapevolezza che i colleghi, offrendoci il loro aiuto, stanno facendo qualcosa che è coerente con i loro valori personali.
Questo ci permette di dire con certezza assoluta che, la fiducia rappresenta un enorme capitale sociale (emotivo) creando collegamenti e coesione fra i membri del gruppo, determinando una maggiore produttività.
Introdurre il principio valoriale di fiducia all’interno di un’azienda significa anche strutturare modelli di leadership diversi da quelli studiati fino ad oggi. Il principio base che sta dietro alla Drivership è che le persone devono essere coinvolte sempre di più nei processi organizzativi.
Leggendo questa frase vi chiederete da dove deriva questa affermazione. La risposta è semplice, le persone hanno un innato, forte desiderio di partecipare. A questo bisogno di partecipazione si oppone la paura della critica, la paura del rifiuto, la paura del conflitto sterile e della punizione.
Accade, quindi, che i manager interpretino la mancata partecipazione dei loro collaboratori come segnale di disinteresse verso le problematiche dell’azienda.
Anche se in apparenza il desiderio di partecipare non è così evidente, sappiate che dietro l’esteriorità, quasi tutti vogliono poter credere che l’organizzazione migliora anche grazie al loro contributo.
Facendo un’analisi più approfondita possiamo dire che, la motivazione (motivo per entrare in azione) non dipende dal mancato contributo del collaboratore, piuttosto dal fatto che, le persone pensano che sia stata loro negata la possibilità di dare un reale e concreto contributo.
Pensando che quello che desiderano maggiormente non è stato loro concesso, attivano di fatto un atteggiamento difensivo che, sfocia successivamente in forme di inutili chiacchiere e critiche che generano ovviamente problemi sul clima aziendale e che portano a fare solo presenza sul posto di lavoro, senza nessun coinvolgimento o interesse.
Il desiderio di contribuire è sempre in un equilibrio precario con l’istinto di autoprotezione e, così ogni volta che ci si assume il rischio di dare un contributo e di essere produttivi, si va incontro anche ad una conseguenza emotiva che, può essere positiva o negativa.
Possiamo dire oggi con certezza (dopo il feed-back di centinaia di aziende a cui abbiamo fatto consulenza) che la fiducia si può costruire attraverso alcuni processi di pro-attività da parte del management, dove è indispensabile:
Questo significa che siamo disposti a mantenere fiducia finché il comportamento delle persone, soprattutto, delle persone che hanno il potere, è coerente con i principi enunciati nella Vision comune e condivisa. Se la coerenza è duratura questa fase chiamata fiducia interlocutoria, sfocia poi in fiducia istituzionale. Quindi, piuttosto che far trascorrere due anni per instaurare fiducia (tempo necessario per concretizzare e interiorizzare il valore fiducia), conviene applicare direttive e principi capaci di creare un considerevole livello di fiducia in pochissime settimane, il tempo necessario per sviluppare i propri particolari principi di fiducia, un breve periodo, in cui le persone osservano se gli altri (soprattutto i leader) si attengono a quei principi.
La maggior parte dei libri che si trovano in libreria e dei corsi che si trovano sul catalogo delle varie società di formazione parlano di come essere leader efficaci, bravi team leader, ecc. ecc.. Ma basta essere un bravo leader per governare e creare fiducia all’interno di una squadra? La risposta è certamente sì, ma non tutti ricordano che anche i membri del team devono avere delle caratteristiche peculiari. Infatti, anche essere un buon “linker” è una competenza da sviluppare, e prevede caratteristiche che qui di seguito riporto, e di cui un buon leader/driver deve tenere assolutamente conto:
Ora, non resta che agire facendo tutti i passi necessari per generare fiducia nel proprio Team.
Noi siamo certi che questa sia la giusta strada per creare una fiducia funzionale.
Questa strada è stata recentemente sperimentata con successo da una multinazionale come Prysmian che si è avvalsa della nostra consulenza e, ha potuto toccare con mano il vero significato di fiducia durante l’evento formativo “MANAGER IN VOLO” in outdoor training, sviluppato in 2 giorni a Bergamo presso l’Aeroclub Volovelistico Alpino di Valbrembo.
L’evento ha stimolato tutti i 31 partecipanti portandoli senza esitazione alcuna a “prendere il volo”, pilotando un aliante per la prima volta, e vincendo la paura, grazie soprattutto, alla fiducia instauratasi con i colleghi a terra e con i piloti in volo.