Immaginate che io prenda la mia ultimogenita di sette anni – Rebecca –, la piazzi sopra un armadio e le dica:
“Buttati, che il papà ti prende”.
Me la immagino: da un lato sarebbe attirata dal piacere del volo, del gioco, della risata irrefrenabile al momento dell’atterraggio – per uscire di metafora: dal rendimento atteso dall’investimento – ma dall’altro, prudentemente, valuterebbe il rischio di farsi male schiantandosi rovinosamente sul pavimento.
Allora, anche senza aver fatto l’università o qualche master di finanza, del tutto naturalmente comincerebbe a valutare innanzitutto le mie competenze, per così dire, tecniche (valuterebbe il rischio, o per lo meno una componente del rischio): “avrà mio padre la forza fisica di reggere il mio peso per giunta aumentato dall’accelerazione prodotta dalla forza di gravità?”.
A questo punto frugherebbe del tutto spontaneamente nel mio curriculum alla ricerca di rassicurazioni: “quali prove di forza fisica ha dato mio padre? Riesce a prendere in braccio mio fratello Tommaso e mia sorella Benedetta, più anziani e quindi più pesanti? Parrebbe di sì.”
Poi passerebbe ad un supplemento di analisi, alle case-history, alle referenze:
“una volta ricordo ha sollevato un divano, porta le borse alla mamma quando vanno al supermercato… insomma: sembrerebbe un padre affidabile, sufficientemente forzuto… va bene:
valutate le statistiche, le performance storiche, il gestore mi sembra capace”. Si butterebbe? No, non ancora. Perché le verrebbero altri dubbi (valuterebbe un’altra componente del rischio che si sta assumendo).
Guardandomi bene negli occhi sicuramente si domanderebbe:
“e se poi al papà venisse la voglia irresistibile di farmi uno scherzetto e mi facesse cadere? No …è mio papà, mi vuole bene, mi dice sempre che sono la ragione della sua vita. Ma sarà davvero sincero? So che non è bello dirlo – e so anche che i padri e le loro associazioni fanno i codici deontologici e che ci sono le autorità vigilanti e tutte queste cose esattamente come per i consulenti – ma in fine dei conti io mi posso fidare di mio padre … come persona?”
Il rapporto e le ansie e i dubbi e i rischi del risparmiatore nei confronti del proprio consulente sono molto simili. È una fiducia – per sua natura – a due dimensioni, come per la bambina in cima all’armadio: tecnica e personale. E qui sta tutto il problema. Per il risparmiatore ma, se può consolare, anche per il consulente competente e onesto che ogni giorno lavora per conquistarsi la fiducia di potenziali clienti per definizione molto ma molto diffidenti, specie ultimamente.
Come clienti abbiamo dei rapporti con fornitori di servizi cui deleghiamo totalmente il processo di soluzione del nostro problema. Pensate a un medico – ma anche ad un meccanico o ad un idraulico – : gli portiamo dei sintomi – o un’auto rotta o una perdita d’acqua – e deleghiamo loro totalmente
l’incombenza di fornirci la soluzione.
In questi casi – naturalmente a patto che il prezzo sia accettabile – da un lato nella scelta del fornitore ci riferiremmo unicamente alla sua reputazione, al suo “curriculum”, e cioè ci domanderemmo solo se abbiano le competenze tecniche per fornirci la soluzione, e dall’altro non riterremmo affatto necessario capire qualcosa di medicina – o di meccanica o di idraulica. Sarebbero solo affari loro: se mi risolvono il problema, bene, e se no cambio fornitore.
Ma ci sono altri casi – e quello della scelta del consulente finanziario appartiene a questa categoria – in cui il problema è un po’ più complesso: quelli in cui la soluzione del problema non è totalmente delegata al fornitore ma nasce dall’interazione – dal dialogo, dal rapporto, dalla reciproca e profonda e continua comprensione – tra cliente e fornitore. Pensate alla psicoterapia o, appunto, alla consulenza finanziaria e patrimoniale.
In questi casi improvvisamente non ci basta più sapere che il consulente sa fare il suo mestiere ma è necessario anche essere sicuri che non si approfitterebbe di noi, che non ci fregherebbe, nemmeno se ne avesse l’opportunità e un vantaggio.
Sono quei casi in cui è indispensabile fidarsi certamente della competenza tecnica ma anche della persona in quanto… persona.
Insomma: esattamente come Rebecca sull’armadio dobbiamo poterci fidare e delle sue capacità e della sua volontà di perseguire il nostro interesse.
In questi casi, allora, da un lato
nella scelta del fornitore non ci basta più solo una solida reputazione professionale – e cioè la reputazione si trasforma in una condizione naturalmente necessaria ma non più sufficiente – e dall’altro diventa indispensabile comprendere qualcosa – per capire e per farsi capire – della materia di cui si sta trattando. Conoscere qualcosa della materia per poter giudicare se il mio consulente mi
sta turlupinando o meno ma anche Is per dargli le coordinate giuste per fornirmi la soluzione migliore.
In questo senso, quindi, parlare di educazione finanziaria del risparmiatore non è una mania o una moda passeggera ma la condizione necessaria per produrre la sua soddisfazione e consentire alle aziende e ai professionisti seri di svolgere bene il loro lavoro.
Tornando al tema della fiducia, nel momento in cui decidiamo di investire il nostro denaro con l’aiuto di un consulente finanziario, esercitiamo pertanto un atto di fiducia, come detto, doppio: sulla capacità e sulla volontà, sulla competenza e sulla persona. Ebbene, le conseguenze pratiche di questa duplice dimensione della fiducia sono importanti: mentre per dare il primo tipo di fiducia è normalmente sufficiente il curriculum dell’interlocutore o al limite un’unica esperienza – una volta che Rebecca si buttasse constaterebbe immediatamente la capacità di suo padre di reggerne il peso – , per il secondo tipo il discorso è assai più complicato: ha bisogno di tempo e di continue riconferme. Non basta prendere Rebecca una sola volta per convincerla che il papà non farà il furbo ma molte e molte volte. Tutti i giorni. E quindi, di chi fidarsi? Nel libro “Io ci provo” e nel blog http://iononcicascopiu.wordpress. com/ ci sono alcuni consigli che riassumiamo qui:
Fidati solo di chi dimostra (fin dai primi momenti):
(continua)