Alcune, purtroppo, hanno deciso di abbandonare le attività di innovazione e ricerca, focalizzando il loro business solo su ciò che in questo momento rende, cercando di tagliare tutto ciò che non produce o produce poco, come ad esempio:
Questa strategia funziona solo, e in misura limitata, se i concorrenti diretti adottano la stessa tattica. È evidente che se si decide di smettere di innovare e uno o più competitor continueranno a farlo, all’uscita della recessione, con molta probabilità, quella che ha contenuto i costi, con tagli evidenti allo sviluppo, si troverà in una situazione di svantaggio competitivo con chi in questa fase è stato pro-attivo, reagendo alla criticità di mercato, attraverso un’attenta rivisitazione del modello consulenziale/negoziale.
Se da un lato, la più evidente strategia, per tempi difficili come questi, è migliorare l’efficienza operativa e logistica, abbattendo tutte le perdite di processo che riducono i profitti e l’efficacia esecutiva, dall’altra la tattica migliore è quella di andare nella direzione di un investimento mirato sulle risorse umane, sulla loro motivazione, sulla capacità di trovare risposte coerenti con la filosofia del cliente e dell’azienda. Questa direzione rappresenta oggi il vero plus di un’azienda, soprattutto, se unita a strumenti di comunicazione innovativa.
Indagando, poi, nel settore specifico dei consulenti finanziari (Promotori), ci accorgiamo che le tematiche di innovazione negoziale, di comunicazione e di finanza comportamentale sono ancora un territorio vergine, su cui le aziende più rinomate devono ancora fare passi da gigante.
Se da un lato, è più evidente strategia, per tempi difficili come questi, è migliorare l’efficienza operativa e logistica, abbattendo tutte le perdite di processo che riducono i profitti e l’efficacia esecutiva, dall’altra la tattica migliore è quella di andare nella direzione di un investimento mirato sulle risorse umane, sulla loro motivazione, sulla capacità di trovare risposte coerenti con la filosofia del cliente e dell’azienda. Questa direzione rappresenta oggi il vero plus di un’azienda, soprattutto, se unita a strumenti di comunicazione innovativa.
Indagando, poi, nel settore specifico dei consulenti finanziari (Promotori), ci accorgiamo che le tematiche di innovazione negoziale, di comunicazione e di finanza comportamentale sono ancora un territorio vergine, su cui le aziende più rinomate devono ancora fare passi da gigante.
Pertanto, quali sono i requisiti indispensabili che deve avere un consulente finanziario per diventare eccellente nel proprio lavoro?
Da un nostro studio condotto su un campione di più di 1.500 promotori, sono stati elencati un numero importantissimo ed elevato di requisiti , ma a nostro avviso i più importanti sono:
Quelle che ho elencato sono qualità necessarie, dei pre-requisiti che devono essere miscelati con le competenze e la conoscenza del mercato proprio e dei competitors.
Le competenze si formano con il tempo, l’esperienza e il supporto dell’azienda con corsi ad hoc.
Se vogliamo creare un team di consulenti altamente performante e sempre motivato, diventa indispensabile “educarli” fin da subito verso modelli negoziali “semplici”, “duplicabili” da tutti e, che abbiano fondamenti scientifici che ne garantiscano il successo. Proprio per questo, il modello adottato non deve appiattire la diversità comunicazionale dei consulenti, anzi deve evidenziarne le differenze, offrendo un vantaggio competitivo unico e speciale, in quanto rappresenta la grande opportunità di far vedere al nostro cliente le cose da diversi punti di vista.
Un buon consulente finanziario conosce gli strumenti della comunicazione per ispirare credibilità e fiducia, ponendo il cliente sempre al centro della propria attenzione.
Il limite di tutto ciò? Le nostre abitudini, i nostri pre-concetti e il timore del cambiamento.
Una buona teoria è utile nella pratica?
La parola “teoria” suscita, spesso, perplessità (se non repulsione) in ambito aziendale, consulenziale e negoziale. Viene di solito vista come un esercizio sterile del sapere, che ha poco a che fare con l’azione, insomma, una perdita di tempo. Ma una buona teoria è molto pratica, soprattutto, perché è stata convalidata da decine di esperimenti nelle condizioni più diverse. Dunque, per imparare senza dover rifare tutti gli errori possibili ci vuole anche la teoria, ciò che importa è come questa viene proposta, espressa e fatta “digerire” da chi l’ascolta.
La domanda lecita da farsi non è, quindi, se fare o meno formazione alla propria rete di consulenti, bisogna invece chiedersi quale formazione far fare ai propri uomini, tenuto conto che i consulenti sono generalmente persone adulte, concrete, molto dinamiche, quasi impazienti, portate all’azione più che alla riflessione. In questo caso, sarà necessario un approccio formativo diverso dal solito, non più frontale (vedi efficacia della formazione in funzione dell’applicazione del metodo) ma:
Prima di iniziare diventa indispensabile capire l’etimologia della parola e il significato che diamo a negoziare e negoziazione.
Nell’antica Roma la parola “negotium”, aveva un significato preciso riferito a tutte le attività pubbliche, di “scambio”, che si svolgevano nelle strade e nel Foro. Quando il nostro centro studi e sviluppo comportamentale ha cercato la definizione di negoziazione abbiamo trovato due definizioni.
Date queste definizioni ci siamo chiesti quale fosse la più idonea in un contesto di negoziazione finanziaria. La risposta dopo numerosi focus group con potenziali clienti e top consulenti finanziari è stata univoca: NESSUNA DELLE DUE procura piena soddisfazione ad entrambe le parti.
Dal nostro punto di vista “negoziare” significa relazionarsi in modo efficace ed efficiente sviluppando la capacità di ascolto, creando empatia e accertandosi che il significato di ciò che si dice venga assimilato e compreso dalla controparte.
Ricordiamoci che “emissione” è diverso da “ricezione”.
C’è una regola fondamentale da cui è impossibile sottrarsi: io voglio dire 100, ma con i fatti dico 80, dall’altra parte la persona sente 70, ascolta realmente 50, comprende 30, ricorda 20, farà e utilizzerà 10.
Tutto ciò che abbiamo studiato sulle tecniche di vendita e su quelle negoziali, quindi funziona ancora? La risposta è ovvia: IN PARTE.
Il primo suggerimento pratico è tenere a mente che, il significato della nostra comunicazione sta nel responso che ne otteniamo e non nelle intenzioni. Questo postulato è ancor più evidente se non si presta attenzione alle parole calde del nostro interlocutore e al peso che si dà a queste parole.
Un altro suggerimento pratico che possiamo dare ad un consulente finanziario è di tenere bene in mente il concetto del 70/30, che non ha nulla a che vedere con la Legge di Pareto, ma con la regola negoziale di ascoltare per il 70% del tempo e parlare solo per il 30% dello stesso, ricalcando le hot words del cliente e trasformandole in Key words evocative ed emozionali. Quindi se vogliamo essere “accolti” in modo favorevole dal nostro interlocutore dobbiamo prestare attenzione a questa prima regola se vogliamo destare una buona impressione.
I vantaggi di questa azione sono innumerevoli:
Il negoziatore consulente è diverso dal venditore consulente, in quanto il primo raggiunge un accordo stimolando una reciproca soddisfazione e ottenendo entrambi un quid in più, nel secondo caso si cerca un compromesso per ottimizzare le questioni, dopo una fase di antagonismo e competizione tra le parti.
La consulenza negoziale ha un approccio diverso, fatto di attenzione ai particolari, di ascolto “attivo”, di capacità di valorizzare il dissenso del cliente, accettando le critiche per trasformarle in opportunità di accordo, abbattendo di fatto l’adrenalina tossica che comporta disagio, distanza e minor rapport emotivo con l’interlocutore.
Quindi qual è la strategia negoziale migliore?
Dal nostro punto di vista di studiosi del comportamento negoziale e di concreti operatori sul mercato (siamo stati i primi ad applicare con successo la tecnologia del coaching territoriale) pensiamo che ogni negoziazione consulenziale non debba prescindere da tre elementi fondamentali che sono (ci occuperemo in questo articolo solo dell’individuazione del lato negoziale del nostro interlocutore):
Cosa significa esattamente indagare? Qualcuno potrebbe pensare al vecchio detto “chi domanda comanda”, ma non è esattamente così, nelle prossime righe vi trasferirò il vero significato di indagare.
A tutti voi è capitato di andare ad un corso di vendita e sentire dire al relatore che i primi secondi/minuti sono i più importanti, qualcuno si è addirittura avventurato a dire che bastano solo 7 secondi per piacere o no ad una persona. Informazione assolutamente vera, ma nessuno ci ha spiegato in modo scientifico a cosa sia dovuta questa prima impressione: è la stretta di mano forte o molle? È avere uno sguardo diretto verso il volto dell’interlocutore? È come siamo vestiti? È il nostro non verbale che comunica insicurezza o troppa sicurezza?
La risposta noi l’abbiamo trovata e da buoni ricercatori abbiamo voluto sperimentarla migliaia di volte con un protocollo scientifico, al fine di non essere smentiti e dare finalmente una “verità” a questi fatidici secondi e minuti che si attuano nei primi approcci con il cliente.
Vi è mai capitato durante una discussione di sentirvi dire la frase: “non mi prendi dal verso giusto o dal lato giusto?” Con molta probabilità la risposta è: sì.
Anche noi siamo stati colpiti da questa affermazione e siamo andati subito a verificarla attraverso più di 5.000 video negoziali registrati durante la prima fase di approccio che, avviene durante la stretta di mano.
Nell’indagine condotta si è evidenziato che, tutte le persone che sono state filmate avevano un loro preciso lato negoziale che “mostrano” in modo inconscio all’interlocutore. Le persone, poi intervistate, hanno espresso il loro parere, i loro pre-concetti e le loro emozioni negative, emerse nel momento in cui gli veniva stretta la mano da un lato negoziale diverso dal loro, e quanto questo influisse negativamente sul loro stato d’animo durante la trattativa. Nelle donne la tensione saliva ancor di più quando l’interlocutore veniva definito nel loro pensiero come “viscido”.
Quindi cosa ci insegna tutto ciò? Che la prima indagine sulla personalità del nostro interlocutore avviene già dalla stretta di mano (non c’entra nulla o molto poco, la forza, lo sguardo e la prestanza fisica) o meglio dalla ricerca e dal ricalco del suo lato negoziale (tecnica della negoziazione spaziale direzionale).
Questo elemento diventa fortemente innovativo nella sequenza negoziale, in quanto ci permette fin da subito di entrare in rapport emotivo con il cliente senza che lui possa in qualche modo iniziare un processo mentale che lo porti ad un pre-concetto negativo sull’interlocutore.
Non basta, quindi, avere solo un bel sorriso, una bella presenza, ma ci vuole molto di più. Per esempio saper stringere la mano scegliendo fin dall’inizio “il primo lato di negoziazione” e le prime parole da dire nella fase di saluto, porta l’interlocutore ad una maggiore attenzione di ascolto, abbattendo il muro della “diffidenza” ed entrando in quello della “curiosità”.
Per questi motivi, quando ci troveremo di fronte ad un soggetto che stringendoci la mano porta in avanti la spalla destra e il piede destro, facendo con noi un angolo di circa 45°, significa che è un soggetto che ha come priorità quella del “toccare con mano” di “percepire la concretezza e la solidità ” di chi ha di fronte.
A questa tipologia di persone risponderemo portando in avanti la nostra spalla sinistra e il piede sinistro e diremo loro: “piacere di conoscerla, finalmente daremo concretezza ai discorsi fatti al telefono”, oppure “piacere di conoscerla, sono qui per farle toccar con mano la solidità dei nostri prodotti/servizi”. Questo lato prende il nome di: negoziazione sensoriale cinestesica.
Diversa è la situazione nella quale l’individuo ci stringe la mano mettendosi di fronte a noi. In questo caso si dice che il primo lato di negoziazione è di natura visiva. Ovviamente cambia anche il tipo di saluto che in questo caso dovrebbe suonare così: “piacere di vederla, potremo finalmente osservare dal vero le cose che mi chiedeva …”
Nell’ultimo caso abbiamo un interlocutore auditivo che quando ci incontra tende a portarci avanti la spalla sinistra e il piede sinistro durante il saluto. In molti casi anche la postura della testa è leggermente ruotata, quasi a cercare di sentire meglio il saluto.
Anche in questo caso il saluto sarà diverso dai precedenti, qui la frase da usare potrebbe essere questa: “sono felice di incontrarla sig. ……., sarà un piacere ascoltare le sue esigenze”.
Ricordate che ciò che conta è fare buona impressione all’interlocutore fin da subito. È infatti da qui che egli stabilisce se il clima nel quale si svolgerà la nostra comunicazione sarà positivo o negativo.
In definitiva, se il primo segnale che entra nell’inconscio è negativo, esso tenderà ad attivare altri segni negativi.
Per chiarirvi tutto ciò vi faccio un esempio, che ho tratto da un libro di vendita di Mario Silvano. State viaggiando lungo una statale, siete molto stanchi e affamati, quando vedete un cartello vecchio e molto arrugginito di un hotel ristorante, cosa pensate del luogo? Con molta probabilità, questa prima impressione vi farà pensare che se il cartello si trova in quelle condizioni il resto sarà peggio.
La prima impressione è quella che conta e ci proietta in una rappresentazione interna che ci fornisce preconcetti negativi (vedi schema stati d’animo). In seguito, scoprite che l’hotel è bello e la cucina ottima.
Quindi un dettaglio sbagliato, nel modo di vestire (vestibilità), o di comportarci nell’aprire la negoziazione con un saluto ed una stretta di mano (vitalità), possono avere un effetto molto negativo, soprattutto, all’inizio del rapporto, quando l’interlocutore ci inquadra formulando la sua prima impressione.
In questo articolo ho voluto introdurre alcuni concetti di comportamento relazionale nel mondo della finanza, finalizzati ad implementare “le strategie comunicazionali” come fattori chiave per portare al successo una negoziazione nel campo dei servizi finanziari.
Questo è solo un primo approccio e rappresenta il “cappello” del primo capitolo riguardante la fase di indagine.
Ricordate che si comunica da quando si nasce, si comunica ogni giorno dalle cose più banali a quelle più importanti ed impegnative.
Ogni volta che comunichiamo abbiamo un compromesso da raggiungere, un accordo, un patto, un baratto da effettuare. In ogni comunicazione vi è uno scambio, un’intesa, una transazione da far convergere. In ogni comunicazione vi è una discussione, un dissenso, uno scontro, un bisticcio, una lite, un diverbio da appianare.
L’acquisizione delle tecniche comunicazionali idonee porta le persone a gestire e creare le giuste condizioni per risolvere le divergenze.
Comunicare e conseguentemente negoziare significa ricercare un accordo reciproco attraverso il dialogo. Non vi è luogo al mondo dove questo non si svolga; pensate a due bambini che si contendono un giocattolo, pensate a due innamorati che discutono a casa per una banale cena da organizzare con gli amici, pensate ad un genitore che discute con il proprio figlio per l’orario di rientro a casa.
Saper comunicare e negoziare oggi significa migliorare la nostra vita privata e professionale.
Possiamo dire che la comunicazione negoziale è il risultato di una buona situazione conflittuale e di una sapiente gestione degli stati d’animo dei contendenti.
Ed è proprio sugli stati d’animo che diventa importante lavorare: un’attenta osservazione e una buona gestione delle emozioni porta al successo e ci allontana dal conflitto.
Negoziare significa, infatti, amministrare saggiamente una conversazione, in quanto partendo da due posizioni e due obiettivi diversi, le due parti devono trovare le giuste risorse che le portino alla massima soddisfazione possibile dei loro bisogni.
Conoscere la mente umana, comprendere come struttura le proprie emozioni, come altera i propri stati d’animo, diventa fondamentale per ottenere i massimi benefici durante le varie fasi della negoziazione.
Alle prossime puntate il seguito.